Con il Waste-To-Fuel si stanno facendo passi da gigante




I sette brevetti di ENI Rewind consentono di produrre idrocarburi a partire da rifiuti. Praticamente una macchina del tempo


Nessuno è ancora riuscito a mettere a punto il congegno concepito da H.G.Wells e poi ripreso in molte forme diverse da una schiera di scrittori e registi più  meno noti e più o meno bravi. Però qualcuno è riuscito a inventare un processo industriale che comprime in due ore quello che naturalmente, con le giuste condizioni, avviene in almeno milioni di anni, settimana più, settimana meno. L’obiettivo, produrre idrocarburi dai rifiuti. Sia chiaro, sono decine di anni che appaiono soluzioni di questo tipo, almeno da quando si è scoperto che il petrolio deriva dalla trasformazione termica di un insieme complesso di molecole organiche, il kerogene.

I lettori che hanno superato da tempo gli anta si ricorderanno della storia, molto italiana, della Petroldragon, il cui procedimento venne esaminato, e bocciato, da tecnici dell’ENI negli anni ’80 e che finì molto male qualche anno dopo. La difficoltà di produrre idrocarburi in breve tempo da materiale organico non deriva infatti dalla non conoscenza della teoria, ma dai dettagli della pratica. Ora ENI Rewind, l’azienda del gruppo ENI che si occupa di economia circolare, pare abbia trovato la giusta combinazione e l’ha scritta nella pietra di sette brevetti. Per i dettagli, rimandiamo all’articolo sul convegno Waste di Genova che trovate in altra parte della rivista.

Consentiteci solo alcune parole in più sul perché questo mese assegniamo il Cestino d’Oro al Waste-to-Fuel.  Chi ci legge sa che quando è iniziato il nuovo corso di Waste insistiamo sulla necessità che. l’economia circolare abbia una solida base ECONOMICA, in cui i sussidi (chiamateli come vi parte ma quelli sono) devono avere un ruolo di spinta iniziale e limitata nel tempo. Questo perché altrimenti alle tanto agognate materie prime seconde “vere”, ossia quelle che finiscono realmente in nuovi prodotti in sostituzione delle materie vergini, non ci si arriva mai o ci si arriva e le si butta. Ogni riferimento a fatti reali è assolutamente voluto.

Oggi il maggiore problema del mondo del waste non è il tanto demonizzato packaging e nemmeno la plastica, ma la banale FORSU, la frazione organica dei rifiuti urbani, e, in seconda battuta, i residui organici della depurazione delle acque. Il problema è talmente grosso che l’Unione Europea, tanto ardita nel pretendere bioplastica compostabile anche dove non solo è inutile ma pure dannosa, dalla FORSU si tiene ben lontana. Dall’organico urbano oggi si ricava se va bene biogas e poi biometano, quello che resta viene inviato al compostaggio (che a dire di tutti non ha un mercato) oppure diritto in termovalorizzatore o allo smaltimento (vulgo, discarica). Con il Waste-ToFuel, il passo avanti è significativo. Tutta la materia viene riciclata e trasformata in qualcosa di utile o reimmessa in circolo (l’acqua, per dirne una). Nessuno si immagina, a partire da ENI Rewind, di produrre idrocarburi in quantità tale da incidere sulla bilancia energetica nazionale. Ma su quella della gestione della FORSU, sì.