La città & lo spreco di ciboUno studio della fondazione CMCC evidenzia il ruolo delle città nella riduzione del "food wast"




Riceviamo e volentieri pubblichiamo un estratto del comunicato stampa della fodazione CMCC riguardo gli strumenti e i parametri per verificare le fonti dello spreco alimentare minimizzandone gli effetti.

Lo studio mette in luce il ruolo decisivo delle città nella lotta agli sprechi alimentari e nel contribuire a raggiungere gli obiettivi dell’Agenda 2030 dell’Onu per lo sviluppo sostenibile. Un metodo per valutare le politiche e le iniziative sullo spreco alimentare urbano e le loro connessioni con gli obiettivi di sviluppo sostenibile, potenzialmente applicabile a qualsiasi altra città.

Lo spreco alimentare è uno dei problemi più urgenti legato alla produzione del cibo: la FAO stima che più di un terzo del cibo sia perso o sprecato lungo l’intera catena di produzione. Se si considerano gli impatti sull’ambiente, lo spreco alimentare rappresenta fino al 10% delle emissioni globali di gas serra, mentre l’impronta idrica annuale della fase agricola dello spreco alimentare è di 250 Km3, pari a cinque volte il volume del lago di Garda e più alta di qualsiasi impronta idrica nazionale legata ai consumi alimentari. Il rapporto Speciale dell’IPCC Climate Change and Land (2018) stima che fino al 37% delle emissioni globali totali siano attribuibili al sistema alimentare considerato nel suo complesso, dalla produzione fino al consumo e allo spreco. In Europa, con 88 milioni di tonnellate di cibo sprecato ogni anni (pari a 173 kg a testa) si stima inoltre che il 15% degli impatti totali sull’ambiente della catena di produzione del cibo siano attribuibili proprio agli sprechi alimentari.

 Le città si stanno affermando come attori chiave nella lotta allo spreco alimentare: qui si concentra ormai oltre la metà della popolazione mondiale e viene consumato tra il 70% e l’80% delle risorse alimentari prodotte, ed è sempre qui che si stanno sperimentando tutta una serie di azioni per rendere più sostenibile il sistema alimentare. 
Prendendo in esame 40 città europee in 16 diversi Paesi, uno studio pubblicato di recente sulla rivista Resources - Special issue presenta una nuova metodologia per valutare le politiche e le iniziative delle città per la lotta allo spreco alimentare.


“Il problema dello spreco alimentare è riconosciuto come una delle più gravi distorsioni dell’attuale sistema di produzione del cibo”, spiega Marta Antonelli, senior scientist presso la Fondazione CMCC e Direttore Ricerca di Fondazione Barilla. “Parliamo di distorsione perché, a fronte di una perfetta edibilità del cibo, si osservano spesso perdite (nelle prime fasi della filiera alimentare, nel tragitto tra il campo e la vendita al dettaglio -esclusa-), oppure sprechi (nelle ultime, a livello di vendita al dettaglio e di consumo), con significativi impatti a livello economico, sociale e ambientale. Ogni anno il 14% circa dei prodotti alimentari va perso in tutto il mondo prima di raggiungere il mercato; i motivi spaziano da problemi alle infrastrutture, vizi di manipolazione, inadeguatezza delle modalità di trasporto, condizioni meteorologiche estreme, fino a problemi nello stoccaggio e conservazione dei prodotti, che colpiscono soprattutto i cibi più deperibili, come frutta e verdura. Per quanto riguarda invece lo spreco ‘a valle’, imputabile ai consumatori o agli addetti al servizio della ristorazione, le ragioni sono soprattutto di tipo comportamentale e hanno a che fare con la particolare relazione che abbiamo col cibo.”
In un mondo dove ancora oggi la sicurezza alimentare non è garantita per tutti, se si riducessero le perdite o gli sprechi alimentari si potrebbe garantire più cibo per tutti, ridurre le emissioni di gas serra e allentare la pressione sulle risorse naturali, in particolare il consumo di acqua e di suolo, per aumentare la crescita economica e la sostenibilità dei nostri sistemi di produzione e delle nostre società.

 “La gestione dello spreco alimentare è una sfida complessa”, spiega Marta Antonelli, “e le città possono andare a incidere direttamente su tanti settori o elementi del sistema alimentare urbano, che poi determinano le dimensioni della sicurezza alimentare per i cittadini. Come? Attraverso l’azione sui mercati rionali, le mense scolastiche, le mense caritatevoli, gli incentivi per ridurre gli sprechi, etc. La città di Milano, per esempio, ha ridotto la tassa sui rifiuti a chi dimezzava i propri livelli di spreco alimentare, e si è impegnata con tutta una serie di azioni, fra cui questo tipo di incentivi, a dimezzare lo spreco alimentare entro il 2030.”
Gli autori dello studio hanno cercato di delineare una mappa delle iniziative a livello urbano per la lotta allo spreco alimentare. Sono inoltre andati a vedere quale fosse la loro relazione con gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile, evidenziando il ruolo fondamentale che le città possono avere per il raggiungimento degli obiettivi fissati dall’Agenda 2030 delle Nazioni Unite. Lo studio ha evidenziato la grande molteplicità di politiche e di attori coinvolti nella lotta allo spreco alimentare.L’analisi mette in luce anche come molte città (in Italia, Bari, Bologna, Milano, Torino, Genova, Venezia e Cremona, con iniziative sia pubbliche che private) stiano utilizzando la lotta allo spreco per alleviare la povertà alimentare e l’esclusione sociale delle fasce più vulnerabili della popolazione, per esempio attraverso sistemi di donazione delle eccedenze di cibo, o la creazione di nuove opportunità di lavoro nell’economia circolare.
Lo studio Urban food waste: a framework to analysepolicies and initiatives sottolinea l’importanza di fornire alle istituzioni cittadine strumenti efficaci per raccogliere dati sui livelli di spreco alimentare urbano, per valutare anche quantitativamente l’entità del problema e l’efficacia delle politiche messe in atto. Al momento, le lacune in fatto di metriche e dati sono notevoli.